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Gemma Arterton Italia
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Gemma Arterton: da Gravesend al West End

by Gian 5 Novembre 2014
written by Gian 5 Novembre 2014
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Traduzione dell’articolo del London Evening Standard uscito il 5 Novembre scorso a cura di 
Gemma Arterton Italia


Gemma Arterton è cresciuta nel Kent con grandi sogni che l’hanno fatta entrare nella Royal Academy of Dramatic Arts (RADA) senza aver mai nemmeno letto Shakespeare, e poi l’hanno portata a Hollywood. Ora, col ruolo principale nel più grande show di autunno del West End e un uomo nuovo nella sua vita, ha trovato la sua voce, come ha raccontato ad Alex Blimes.


Gemma Arterton è l’unica tra le star di Hollywood che conosco ad andare al lavoro in autobus: passando il fiume, da Battersea a Covent Garden, arriva comodamente alle 11:30, ma non torna a casa prima che quasi tutti noi siamo già sotto le coperte. E andrà avanti così per i prossimi sei mesi, se tutto va bene, finché si esibirà di fronte a 1400 persone per sei sere a settimana (più due matinée, mercoledì e sabato) con Made in Dagenham, il nuovissimo musical con alto budget di produzione tratto dal film del 2010 [We Want Sex in italiano], che inizia la prossima settimana.
Incontro la Arterton una pungente mattina di ottobre fuori dell’ingresso degli artisti dell’Adelphi Theatre, l’edificio in stile Art Deco lungo lo Strand che al momento è la sua casa lontano da casa. Arriva a piedi da sola, con un passo veloce, con indosso un maglione rosa pallido, pantaloni neri e scarpe borchiate. La gente non la ferma per strada? Dopo tutto, la sua faccia si trova a ogni angolo di Londra, appiccicata sui poster dello show. ‘Oh, non mi importa,’ dice, arricciando il naso. ‘Se la gente mi ferma per strada, non mi dà fastidio.’ Nonostante il successo, non si considera in alcun modo diversa o più affascinante di tutti noi. ‘È impossibile pensare una cosa del genere dopo aver passato del tempo con persone davvero affascinanti, quelle con gli entourage, che portano gli occhiali da sole al chiuso: capisci di che tipo di persone parlo, no?’
La Arterton non è quel tipo di persona. A 28 anni è bellissima, certo, con labbra carnose, zigomi alti, pelle delicatamente cosparsa di lentiggini e occhi castani in cui immergersi: una sex bomb inglese in stile classico. Ma lei disarma immediatamente questa impressione. L’ho già intervistata due volte, e ci siamo incontrati per caso un paio di volte. L’ho sempre trovata diretta e spontanea, cordiale e loquace.
Mi conduce nel suo camerino, scusandosi per l’arredamento. Pur essendo fermamente non affascinante e sebbene trascorra molto tempo sugli autobus di Londra, la stanza è

sorprendentemente poco elegante: le pareti, del colore di latte cagliato, sono scrostate; i divanetti sono macchiati e stanno perdendo l’imbottitura. Ma lei non si lamenta. L’Adelphi, dice, è il primo teatro di Londra a cui sia mai andata. Sua madre l’aveva portata insieme alla sorella Hannah, anche lei attrice, dal Kent per vedere le magie di Paul Daniels e della sua assistente Debbie McGee. ‘Chissà,’ dice in tono allegro, ‘forse si sono seduti su questo stesso divano.’

Il viaggio da bambina verso la terra dei teatri era un evento raro; non c’erano molti soldi in casa e queste occasioni erano speciali. Ma tutti in famiglia amavano la musica e i musical. Ancora li amano. ‘Credo che le esperienze più belle che io abbia mai avuto a teatro abbiano coinvolto dei musical: Spring Awakening, Sunday in the Park with George, Once, The Book of Mormon…’

È senza dubbio banale e fin troppo comodo dire una cosa del genere, ma la stessa vita della Arterton ha gli ingredienti di un edificante melodramma, possibilmente accompagnato da canzoni emozionanti e melodie orecchiabili. Lei è la ragazza che viene dalla cruda Gravesend, cresciuta dalla madre Sally-Anne che faceva la donna delle pulizie, dopo il divorzio dei genitori quando aveva cinque anni. Sognava di raggiungere il successo sui palcoscenici, ha vinto una borsa di studio alla RADA per poi passare alla St Trinian’s e all’accademia di buone maniere per le Bond girl – era l’agente Strawberry Fields nel film Quantum of Solace – per poi ritrovarsi abbandonata negli immensi set dei blockbuster hollywoodiani (Scontro tra Titani, Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo, Hansel & Gretel: Cacciatori di Streghe). Riuscirà un importante ruolo da palcoscenico in un allegro musical femminista a salvarla nell’atto finale?

Gemma Arterton in ‘Gemma Bovery’






















Sto dicendo cose stravaganti, ma è vero che la Arterton non aveva mai avuto intenzione di diventare una star dei film. Ha studiato per esibirsi sui palcoscenici. È anche vero che le sue avventure nell’industria del cinema non sono sempre state appaganti. ‘Credo che fossi solo un po’ troppo giovane, quindi non ho seguito il mio istinto,’ dice, aggiungendo che i grandi set cinematografici possono essere posti solitari, a volte: ‘Adoro lavorare con piccoli gruppi di persone. Quei grandi film di Hollywood sono talmente enormi che non ne hai mai l’occasione. Non mi facevano star bene.’

Non che tutti i suoi film siano stati terribili, niente affatto: ha lavorato con registi eccellenti su progetti meritevoli – Stephen Frears nella commedia Tamara Drewe: Tradimenti all’inglese; Neil Jordan nel film sui vampiri Byzantium – eppure Hollywood ha buttato la sua fiducia in se stessa. A un certo punto ‘mi sono chiesta: “Cosa sto facendo? Oh ca**o, non so recitare.” Ho davvero pensato di rinunciare a fare film. Tipo, “Al diavolo, non mi piace. Non fa per me. Non è per questo che volevo diventare un’attrice.” Neil Jordan mi ha detto: “Gemma, non fare cose che tu non andresti a vedere al cinema. Perché dovresti farlo?” E ha assolutamente ragione.’
Non che non ci siano state compensazioni. ‘Certo, mi pagavano un sacco,’ dice. ‘Ho comprato il mio appartamento [a Battersea] a 21 anni. E non avevo mai pensato che un giorno avrei avuto un appartamento a Londra. Il mio agente mi dice sempre: “Smettila di essere così dura con te stessa. Hai fatto la gavetta, ora puoi fare spettacoli teatrali”.’


La sua fede nel cinema è stata ristabilita di recente, dice, dalla sua partecipazione in un eccentrico film indipendente, The Voices, che uscirà l’anno prossimo, e in Gemma Bovery, un film francese che ha ricevuto una calorosa accoglienza quest’estate. Elle France l’ha chiamata ‘la Brit girl qu’on adore’ (la Brit girl che adoriamo). Un giornale ha definito la sua performance ‘un’esplosione di grazia e talento’. ‘Lì sono una star, a quanto pare,’ dice la Arterton, con un po’ di scetticismo ma non senza soddisfazione.
Il sentimento amichevole è reciproco. La Arterton ha divorziato nel 2013 dal marito sposato tre anni prima, il consulente di moda Stefano Catelli – argomento su cui preferisce non soffermarsi, dice – e ora ha un nuovo spasimante: Franklin Ohanessian, un affascinante assistente alla regia francese che ha conosciuto sul set di Gemma Bovery, con cui è stata fotografata in giro per londra questa estate – a un festival musicale a Clapham e al torneo di Wimbledon.
Arterton ha un appartamento a Parigi e fa la pendolare. Parla fluentemente il francese grazie al corso full immersion che ha fatto per prepararsi a Gemma Bovery, ed è un ardente francofila. ‘Mi piace tantissimo,’ dice. ‘Mi piace come la gente sia un po’ fredda lì.’ Lo dice ridendo, ma è seria. ‘Mi piace il fatto che non gliene freghi un ca**o. Hanno un atteggiamento del tipo: “Non me ne frega niente se non ti piaccio.” Oppure: “Tu non mi piaci.” Mi piace l’onestà!’
L’encomio non è terminato. ‘[I francesi] sono del tutto se stessi, hanno una cultura davvero forte, diversa dalla nostra. Amo il loro cinema, e sono andata spesso a teatro in Francia, e lo prendono molto sul serio. Londra è molto più vivace e vigorosa e rumorosa e varia, ma Parigi è più elegante e semplicemente più chic.’
Eppure, dal punto di vista professionale è sui palcoscenici di Londra che è più felice, e che ha avuto più successo. Pensate alla sua Hedda Gabler all’Almeida Theatre e alla sua Duchessa di Amalfi al lume di candela quest’anno alla nuova Sam Wanamaker Playhouse del Globe. Made in Dagenham è finora il suo ruolo su palcoscenico di maggior rilievo, e forse quello a cui tiene di più.

Come il film, il musical si basa sulla storia vera di un gruppo di operaie alle macchine da cucire dello stabilimento Ford di Dagenham che nel 1968 andarono in sciopero per chiedere la parità di retribuzione. Arterton interpreta il ruolo di Rita, una convenzionale mamma operaia con due bambini (Sally Hawkins nel film) che diventa l’improbabile portavoce delle sue colleghe e in seguito una specie di eroina protofemminista.

Nella versione teatrale si pone più l’accento sugli effetti negativi dello sciopero sul matrimonio di Rita, e gli eventi volgono ancora più al peggio quando le portano via i bambini. Alcune parti dello spettacolo, dice la Arterton, sono ‘incredibilmente tristi’. La storia, e soprattutto l’ambientazione, toccano il suo cuore in modo particolare: solo 20 chilometri dividono Gravesend da Dagenham, e Made in Dagenham le riporta alla mente la sua infanzia: ‘Quella cultura dei club degli operai, e lo slang e i comportamenti, sono tutti particolari della classe operaia. E in un certo modo li voglio proteggere. Sono ricordi speciali.’
Lei non si considera più un membro della classe operaia – ‘il sabato leggo il Guardian e

metto latte di mandorla nel cappuccino’ – ma non c’è dubbio che sia cresciuta in quell’ambiente. Il suo accento, dice, era forte – parte con una dimostrazione a tutta velocità dell’accento dell’area dell’estuario del Tamigi – e quando era (ancora) più giovane la facevano spesso sentire inadeguata per la sua mancanza di eleganza.

‘Quando sono andata alla RADA, mi sono trovata in mezzo a tutti questi laureati di Oxford e Cambridge, e io non avevo mai nemmeno letto un dramma di Shakespeare, e mi sentivo davvero stupida. Ma non lo ero. Semplicemente non avevo il loro lessico o la loro esperienza. Non ero eloquente come loro. Non vuol dire che fossi meno intelligente, ma in quel momento non puoi saperlo. Lo stesso per Rita, lei è molto intelligente, ma non sa di esserlo.’
Il ceto, dunque, è un tema di Made in Dagenham. Un altro è la valorizzazione delle donne. ‘Questo è proprio il momento giusto per uno spettacolo del genere, no?’ dice la Arterton. ‘Anche soltanto tre anni era solo una serie di borbottii, questa nuova ondata di femminismo. Ormai, però, è arrivata.’

È orgogliosa delle idee politiche di Made in Dagenham. ‘Si dovrebbe fare solo cose di cui si è appassionati, e i diritti delle donne mi appassionano enormemente,’ dice. ‘C’è una trama secondaria nello spettacolo in cui mia figlia, che ha sei anni, vuole diventare medico. All’inizio io mi metto a ridere. Le dico: “Tesoro, no. Le ragazze fanno le infermiere.”’ Questo tema, dice, è sia una questione femminile che di classe sociale. Ed è una questione che non è ancora stata risolta.

‘C’è un problema di fiducia in se stessi, quando si appartiene alla classe operaia. A volte pensi che è il tuo destino, capisci? Ti accontenti. Ne conosco moltissime di persone così, persone che non credono di poter fare di meglio: “Oh no. Io sono così. È il mio destino.” Molte persone sono felici della loro vita, ma Rita non lo è. E questa è una sensazione che ho sicuramente provato crescendo in una città di operai.’
Prima di Made in Dagenham, la Arterton non aveva mai cantato professionalmente. Da un anno prende lezioni di canto e ora si sente pronta. ‘È stato piuttosto incessante, esercitarmi tutti i giorni.’ Non fuma e durante la settimana non beve alcolici. Sembra proprio una pacchia, le dico. ‘Già, lo so. Ma mi diverto sul palco. È quello che mi ripeto.’
I musical del West End sono rischiosi: produzioni complicate e costose che, come i film di successo, vengono giudicate dai loro risultati al box-office tanto quanto, se non di più, dai verdetti dei critici. Ultimamente alcuni grandi nomi se la passano male: Stephen Ward di Andrew Lloyd Webber ha chiuso dopo poche rappresentazioni, come I Can’t Sing! Di Harry Hill e From Here to Eternity di Tim Rice.
Se non altro, I nomi importanti di Made in Dagenham hanno credenziali irreprensibili. Il regista è Rupert Goold, direttore artistico dell’Almeida Theatre e l’uomo dietro lo spettacolo Enron e il recente musical American Psycho. La sceneggiatura è di Richard Bean, che ha scritto One Man, Two Guvnors. La musica è del compositore David Arnold, che ha anche composto la musica di diversi film di James Bond, e i testi sono di Richard Thomas, che ha co-scritto Jerry Springer: The Opera.
Ma la Arterton è la grande attrazione. Il nome su tutti quei poster è il suo, il volto sulla copertina di questa rivista è il suo. Deve provare una certa pressione. ‘Sì, un po’ mi intimidisce, e sì, sento la pressione,’ dice. ‘Non ho mai partecipato a uno spettacoli di così grandi dimensioni, né uno spettacolo in cui è così importante che ci siano dei sederi sulle poltrone. È una cosa di cui hai bisogno, in uno spettacolo del genere. Hai bisogno del tutto esaurito, e di tante risate. Il teatro deve essere vivace e animato. Mentre quando fai Chekhov o Ibsen il pubblico lo ignori completamente. Li spegni del tutto, quindi da attore non ti importa se non c’è un’anima là fuori.’
Made in Dagenham non è l’unico impegno lavorativo a cui deve pensare. Incredibilmente, quest’inverno ha inprogramma di di girare un film durante il giorno e di esibirsi in Made in Dagenham la sera. Tempo libero? Quel poco che le resterà lo passerà facendo la spola tra Londra e Parigi.

Spero, le dico, che la Francia non ce la porterà via per sempre. ‘No!’ dice lei. ‘La mia base sarà sempre qui. Qui ho troppe radici che sono molto, molto forti. E, ad essere sincera, credo che mi annoierei se vivessi a Parigi. Ora ho degli amici lì, ma a me piace tenermi sempre molto occupata, e questo mi riesce meglio qui. Qui c’è molto più lavoro per me.’ E a Londra anche gli autobus sono migliori.



Traduzione a cura di Gemma Arterton Italia
Vietato prendere anche in parte
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Traduzione di Paola Chinellato
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