sorprendentemente poco elegante: le pareti, del colore di latte cagliato, sono scrostate; i divanetti sono macchiati e stanno perdendo l’imbottitura. Ma lei non si lamenta. L’Adelphi, dice, è il primo teatro di Londra a cui sia mai andata. Sua madre l’aveva portata insieme alla sorella Hannah, anche lei attrice, dal Kent per vedere le magie di Paul Daniels e della sua assistente Debbie McGee. ‘Chissà,’ dice in tono allegro, ‘forse si sono seduti su questo stesso divano.’
Sto dicendo cose stravaganti, ma è vero che la Arterton non aveva mai avuto intenzione di diventare una star dei film. Ha studiato per esibirsi sui palcoscenici. È anche vero che le sue avventure nell’industria del cinema non sono sempre state appaganti. ‘Credo che fossi solo un po’ troppo giovane, quindi non ho seguito il mio istinto,’ dice, aggiungendo che i grandi set cinematografici possono essere posti solitari, a volte: ‘Adoro lavorare con piccoli gruppi di persone. Quei grandi film di Hollywood sono talmente enormi che non ne hai mai l’occasione. Non mi facevano star bene.’
Non che tutti i suoi film siano stati terribili, niente affatto: ha lavorato con registi eccellenti su progetti meritevoli – Stephen Frears nella commedia Tamara Drewe: Tradimenti all’inglese; Neil Jordan nel film sui vampiri Byzantium – eppure Hollywood ha buttato la sua fiducia in se stessa. A un certo punto ‘mi sono chiesta: “Cosa sto facendo? Oh ca**o, non so recitare.” Ho davvero pensato di rinunciare a fare film. Tipo, “Al diavolo, non mi piace. Non fa per me. Non è per questo che volevo diventare un’attrice.” Neil Jordan mi ha detto: “Gemma, non fare cose che tu non andresti a vedere al cinema. Perché dovresti farlo?” E ha assolutamente ragione.’
Come il film, il musical si basa sulla storia vera di un gruppo di operaie alle macchine da cucire dello stabilimento Ford di Dagenham che nel 1968 andarono in sciopero per chiedere la parità di retribuzione. Arterton interpreta il ruolo di Rita, una convenzionale mamma operaia con due bambini (Sally Hawkins nel film) che diventa l’improbabile portavoce delle sue colleghe e in seguito una specie di eroina protofemminista.
metto latte di mandorla nel cappuccino’ – ma non c’è dubbio che sia cresciuta in quell’ambiente. Il suo accento, dice, era forte – parte con una dimostrazione a tutta velocità dell’accento dell’area dell’estuario del Tamigi – e quando era (ancora) più giovane la facevano spesso sentire inadeguata per la sua mancanza di eleganza.
È orgogliosa delle idee politiche di Made in Dagenham. ‘Si dovrebbe fare solo cose di cui si è appassionati, e i diritti delle donne mi appassionano enormemente,’ dice. ‘C’è una trama secondaria nello spettacolo in cui mia figlia, che ha sei anni, vuole diventare medico. All’inizio io mi metto a ridere. Le dico: “Tesoro, no. Le ragazze fanno le infermiere.”’ Questo tema, dice, è sia una questione femminile che di classe sociale. Ed è una questione che non è ancora stata risolta.
Spero, le dico, che la Francia non ce la porterà via per sempre. ‘No!’ dice lei. ‘La mia base sarà sempre qui. Qui ho troppe radici che sono molto, molto forti. E, ad essere sincera, credo che mi annoierei se vivessi a Parigi. Ora ho degli amici lì, ma a me piace tenermi sempre molto occupata, e questo mi riesce meglio qui. Qui c’è molto più lavoro per me.’ E a Londra anche gli autobus sono migliori.